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Essere coach è facile o difficile? E tu, fai coaching o sei un
coach? E, infine, essere coach è sufficiente?
Ecco le prime domande a cui l'autrice risponde in questo testo rivolto a chi è coach, chi lo vuol diventare e chi usa il coaching per lavoro, come counselor o professionisti del benessere e nel campo dell'aiuto alla persona.
Il testo accompagna i lettori a diventare professionisti di successo e risponde a domande
su:
• la struttura di un incontro di coaching,
• l'integrazione di esercizi e comunicazione efficace come la
PNL,
• i percorsi di coaching da proporre e - sempre -
• il coinvolgimento della mente inconscia del cliente per accompagnare a
cambiamenti profondi e duraturi.
Imparerai a guidare ed educare anche senza parlare, con esempio e linguaggio non verbale. Saprai sempre cosa dire e come dirlo. E in famiglia la serenità sarà sempre… di casa.
Indice del libro "Genitori in progress" di Debora Conti
L'autrice
Due motivi (+ 1) per leggere questo libro
Per chi è questo spazio di coaching?
Essere coach… è facile o difficile?
Le paure dei coach
La struttura di un incontro di coaching
Il proposito del coaching
Pensate di essere in due… e invece siete in quattro
Gli errori dei coach
Il controllo di un coach
La struttura interna del cliente
Sei bravo, e allora?
Dialogo tra le parti
Cosa farne della paura?
Domande in tre mosse
Motivazione estrinseca? No, grazie
Perché lo vuole?
I bisogni sociali
I presupposti della PNL
Apprendimento conscio e inconscio
Il bisogno di riscatto e la storia del coachee
Il principio di esposizione e la distanza emotiva… insieme
I tuoi problemi, i suoi problemi
Come faccio a sapere se pongo le domande giuste?
Come strutturare un percorso di coaching
Metamodello e Milton Model
Esercizi di coaching e problematiche associate
Visualizzare e visualizzazioni
Obiettivi
Il tuo obiettivo e il tuo futuro
Appendice 1: la Ruota della vita
Appendice 2: Il bambino di 4 anni
Appendice 3: Script di induzioni e visualizzazioni
Conclusione
Glossario
Programma del MACIA
Debora Conti ha saputo racchiudere in questo libro la sua vasta esperienza. Le sue tecniche di coaching inconscio mi hanno davvero colpito e le applicherò nei miei incontri." - Francesco G.
★ ★ ★ ★ ★
"Essere Coach è una lettura fondamentale per chiunque lavori nel campo del coaching. Le informazioni sono chiare e ben strutturate, rendendo ogni concetto facile da comprendere." - Laura S.
★ ★ ★ ★ ★
"Il testo di Debora è una guida essenziale per chiunque voglia approfondire il coaching. Le sue risposte alle domande più frequenti sono estremamente preziose." - Paolo T.
★ ★ ★ ★ ★
"Un manuale pratico e coinvolgente! Questo libro offre non solo teoria, ma anche esercizi pratici che si possono implementare subito. Lo consiglio a tutti i professionisti del benessere!" - Sara B.
★ ★ ★ ★ ★
"Un libro illuminante che fornisce strumenti pratici e strategie efficaci per chi desidera diventare un coach di successo. Ho trovato le tecniche di Debora estremamente utili nella mia pratica quotidiana!" - Marco R.
★ ★ ★ ★ ★
Debora Conti è autrice, formatrice, Trainer di
PNL formata presso la Paul McKenna Training Company e certificata dalla
Society of NLP come NLP Trainer. È Coach professionista con
il Master in Professional Coaching e registrata presso Renacop
(Registro Nazionale Coach Professionisti).
È Dott.ssa in psicologia e ha conseguito diversi master tra cui una specializzazione in ipnosi, il metodo educativo dello Yale Parenting Center, KPMT (Kazdin Parent Management Training) e la Positive Discipline.
Ha scritto vari libri di crescita personale tra cui alcuni best seller. Ha ideato specifici metodi di auto-aiuto e ama divulgare in modo semplice e pratico il suo coaching, che definisce "coaching inconscio", perché lavora oltre la forza di volontà e coinvolge sempre la mente inconscia.
Nel 2006 ha scritto e pubblicato il suo primo libro best seller con Sperling & Kupfer e ora scrive per la sua casa editrice. Da allora ha aiutato migliaia di persone in coaching e corsi dal vivo o a distanza. Dirige e insegna nel Centro di Coaching Applicato, CCA Italia, che propone corsi di coaching a vari livelli, per chi parte da zero fino a professionisti che ne fanno uso sul lavoro.
Malcom Gladwell parlava di 10 mila ore di pratica per padroneggiare veramente
qualcosa, come suonare uno
strumento o ballare da professionista. La sua teoria è stata citata ma anche criticata.
Vediamola insieme riferendoci proprio al coaching.
Se prendiamo te e la tua passione per il coaching: diciamo che ti piace già da tempo, hai frequentato corsi, hai letto libri, continui a formarti, incontri già dei clienti da un po’ di tempo, hai tenuto qualche corso di gruppo… Insomma, di ore a “pensare” al coaching ne hai accumulate! Non è difficile arrivare alle 10.000 ore di pratica se pensiamo che di coaching potremmo praticarne tutto il tempo: analizzando il nostro dialogo interiore, le convinzioni limitanti che sentiamo attorno a noi, le strategie di reazione e situazioni stressanti, atteggiamento mentale di chi ha successo e di chi pare fallisca spesso nei suoi propositi… Insomma, una persona veramente NEL coaching non ci mette tanto a raggiungere le 10.000 ore di pratica.
Eppure forse non basterebbe.
Noi coach sappiamo anche che la pratica, per essere efficace, deve portare al miglioramento. Se il pianista pratica sempre lo stesso sbaglio alla stessa nota, migliorerà? Se il cestista allena sempre i canestri che vanno fuori, migliorerà? La conclusione non è a favore delle scorciatoie. Cosa manca allora? Dipende. A ciascuno le proprie falle. Ricordo che io come coach, agli inizi, mancavo sicuramente di velocità nell’adeguarmi, perdevo forse tempo ad ascoltare problemi senza vederne già vie di fuga (o integrazione). Ne riparleremo quando ci concentreremo sui tipici errori di noi coach e cosa fare.
E a te, cosa manca? Perché stai leggendo queste pagine? Ti manca fluidità? Alcuni strumenti? Struttura agli incontri con solide cornici? Coinvolgimento della parte inconscia del cliente? Prontezza di intervento? Accoglienza dei dubbi, paure e obiezioni del cliente e allenamento alla comunicazione efficace?
Che si tratti di un incontro di coaching, di psicologia, di
counseling, una consulenza di altro genere,
conoscere il seguente modello ti sarà molto utile.
Immagina un incontro di un’ora e suddividilo in TRE parti: a volte sarà suddiviso in parti
uguali, di 20 minuti
+ 20 minuti + 20 minuti, altre volte la struttura prenderà forma nella
seguente combinazione: 30 + 20 + 10.
“Il bello della struttura che sto per presentarti è che è talmente versatile nella sua semplicità che te la ricorderai facilmente e la potrai allungare o modellare a tuo piacimento. L’importante è tenere a mente le sue tre fasi.
L’OMI MODEL
L’OMI Model nasce da me. Ma non perché sia farina del mio sacco, è solo frutto della mia
osservazione. Mi
trovavo al corso NLP Trainer’s Training a Londra e i trainer del corso
(Bandler, McKenna e La Valle) ci avevano
suddivisi in gruppi guidati da coach esperti e già a regime. Fui fortunata, capitai con una
tipa tosta ed ebbi
letteralmente una folgorazione. Lei ci spiegò come doveva essere composto un incontro di
coaching: tra l’uso del
Metamodello, esercizi di coaching e Milton model. O anche,
parafrasando: tra esplorazione e comprensione, azione
e modificazione, e poi installazione e ripetizione.
Wow. Capii che era giusto così, che doveva essere così, che
era perfetto così!
Iniziamo col mettere le cose in chiaro: non esiste un incontro di coaching perfetto. C’è sempre
il difetto persiano
(sì, sai quel difetto che rende ogni tappeto persiano unico al mondo e perciò meraviglioso?).
In ogni
incontro di coaching che tengo io stessa, noto sempre qualcosa che avrei potuto dire meglio:
una frase troppo
lunga, troppo ipotetica, troppo entusiasta, un aggettivo che stentavo a trovare, una provocazione troppo
azzardata, una frase detta che sembra di circostanza… Solo che, probabilmente sono solo io ad accorgermene. I
miei clienti sono giustamente concentrati sul loro obiettivo che non ci fanno certo caso. Ecco
qui comunque, una
lista di errori in cui anche i coach bravi incappano di tanto in tanto. Li
elenco per esserne consapevoli e
averli sott’occhio e tenerli lontano dalla realtà.
NON TU
Quel coach che crede che senza di lui il cambiamento nel
cliente non avverrebbe. Chi lo dice? Forse nel doppio
del tempo, forse in anni, ma il successo (come il fallimento) del
coachee non dipende certo da noi. In una % di
influenza nel processo di coaching, noi coach siamo strumenti del
cambiamento e non artefici. Influenziamo il
processo di cambiamento per una % sempre meno impattante nel coachee man mano
che il tempo insieme passa.
Di paure noi coach ne abbiamo tante quante i nostri clienti solo che, essendo
noi coach o conoscendolo,
probabilmente le gestiamo ad un livello differente. Qui di seguito ne individuo alcune, vediamo se corrispondono
a qualcuna che hai forse provato all’inizio del tuo percorso formativo, o che senti tutt’ora
dentro e che
rendono corto il respiro quando ci pensi.
1. Paura di non saper come aiutare
Dopo la scuola, anche con tanto di diploma, non è che ci si sente
necessariamente sicuri di poter assistere un
cliente! La testa è piena di nozioni, ma forse non sai ancora usarle al
meglio? O non sai ancora usarle con
fluidità? Certo, è normale. Cosa manca? Esperienza. Ecco come puoi “risolvere”
questa paura: ascoltandola e
assecondandone il vero bisogno, quello di sentirsi sicuri nel fare.
Se le tecniche le hai studiate bene e la scuola che hai frequentato è seria e
valida, l’unico tassello che manca
tra lo studio e la tua affermazione è la pratica. E il MACIA
te la dà in tre forme: 1. nelle esercitazioni tra
coach, 2. dai feedback dei docenti e 3. dagli incontri con veri
coachee pronti a farsi aiutare da te.
2. Paura di non avere la risposta pronta
Anche questa paura si dissipa con la pratica e l’ascolto di
vari clienti e delle loro problematiche. Non solo:
prevenire – come si dice – è veramente meglio che curare. Piuttosto che “curare” un incontro di
coaching
tentennante e a scatti, lavora sui tuoi strumenti: fatti uno schema delle
problematiche che aiuti a risolvere e
degli strumenti più adatti in base alla problematica, al tuo
stile e al tipo di cliente che hai davanti. […]
7. Paura di non trovare clienti
Ecco una paura sempre reale. E ti anticipo già che sarà una paura che ti
accompagnerà per tutta la tua carriera.
Trattala dunque con rispetto: ascoltala, rispettala e tienila vicina come monito per non
mollare mai. Usala per
restare sempre in contatto con i tuoi clienti, per capire le loro paure,
obiezioni, dubbi e lotte interne. Usala
perché, anche se oggi funzioni bene, non si sa mai cosa può arrivare domani: dalla pandemia
inaspettata a un
nuovo social che trascuri per pigrizia e che ti cambia tutti i parametri di
visibilità.
[…] Hai quindi visto che il “perché” rivolto all’analisi del problema è utile se risponde alle
quattro esigenze
nell’elenco di cui sopra. Ancor più interessante è il “perché” il tuo cliente vuole risolvere
certe situazioni.
Jim Rohn dice «Più grande è il “perché”, più facile sarà il “come”». Che per noi si traduce nel
dire che più
forte è la motivazione intrinseca del cliente, più facile sarà l’installazione delle
strategie risolutive
proposte da noi e poi scelte dal cliente. Se il tuo cliente vuole dimagrire e si concentra solo sulla
glicemia alta
come motivazione sollevata dal medico, potrebbe essere un “perché” insufficiente.
Noi vogliamo che i suoi “perché” siano forti e potenti. Perché lo vuole? Cosa otterrà? Come si sentirà? Chi sarà? Grazie a questi “perché” la sessione di coaching è impostata perché “potremo sondare i suoi valori, obiezioni inconsce e insegnare al cliente come accoglierle, comprenderne l’intento e poi rispondere. Potremo visualizzare la realizzazione dei “perché” sulla linea del tempo futuro… Possiamo fare molto partendo dalle motivazioni intrinseche” e l’OMI model ha preso forma naturalmente.
PERCHÉ NO?
Interessante è la formula del “perché no?” come domanda utile da porsi per sfidarsi al
cambiamento. I clienti
che – di fronte a sfide con te individuate – si chiedono “perché no?” in
realtà si rivolgono alla propria parte
abitudinaria/emotiva/inconscia per chiedersi se esistano oggettive, effettive,
imprescindibili ragioni per non
proseguire… Be’, se non esistono, allora, perché non provare?
Se non sai come porre domande al coachee, questi frame, tra cui la piramide di Dilts, i 6 pilastri di Branden fanno parte della guida che nella tua mente illumina la via alle domande utili da porre al cliente.
Non esistono domande giuste o sbagliate, esistono domande utili o non utili in quel momento.
«Ma, Debora, come faccio a sapere se le domande che pongo sono veramente utili al cliente?»
Ecco una risposta confortante: non siamo lettori della mente e non possiamo anticipare le plurime strategie di successo che il cliente adotterà (dove “successo” è inteso come funzionale al suo benessere), possiamo – e dobbiamo – sempre proporre domande che:
Per questo, se le domande che poniamo sono sempre rivolte VERSO più SD, non saranno mai sbagliate.
Iscriviti Adesso al Webinar Gratuito via Zoom per scoprire come poter eliminare o adottare abitudini. Terminerai il webinar gratuito conoscendo le nozioni fondamentali e un programma per iniziare a cambiare.
Ecco qui alcune domande a cui daremo risposta: 1. Quanto ci vuole per cambiare un’abitudine? 2. Come posso parlarmi per agevolare il cambiamento? 3. È vero che in 21 giorni posso cambiare un’abitudine? 4. Come è strutturata un’abitudine? 5. Come si cambia? 6. Come si allena?
Corso Online via Zoom Gratis Mercoledì 2 luglio dalle 20:30 alle 22:00 Basta un’email per registrarsi!
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