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Cosa fare quando ansie e blocchi ci impediscono di vivere come vorremmo? Come
funzioniamo dentro e come possiamo farci aiutare dalle nostre emozioni e dai nostri
pensieri? Perché a volte ci sembra di perdere il controllo della nostra vita?
Esistono degli inganni che si creano nella nostra mente e che l'autrice, psicoterapeuta,
Lara Pelagotti, ci aiuta a riconoscere e risolvere.
Seguitissima sui social, aiuta da anni i suoi pazienti con un approccio mirato e chiaro.
Così, anche in questo libro, la psicoterapeuta ci guida a vivere una vita significativa attraverso 10 tappe, che partono dal sondare chi siamo e le nostre emozioni spiacevoli, passando attraverso degli esercizi mentali pratici e rivelatori, esplorando i nostri pensieri intrusivi, fino ad arrivare alla costruzione della nostra "casa dell'identità" per riconnetterci e dare di nuovo significato a chi siamo e come scegliamo di vivere.
Indice del libro "Esci dagli inganni della mente" di Lara Pelagotti
Dedica
L'autrice
Introduzione
Conclusioni
APPENDICE I
APPENDICE II
APPENDICE III
Bibliografia
Libro davvero bello e al tempo stesso molto utile.
È un ottimo modo per iniziare a comprendere meglio da dove proveniamo, quanto e come spesso veniamo influenzati dal mondo circostante… soprattutto aiuta ad acquisire una certa consapevolezza di noi stessi dandoci l’opportunità di “guardarci dentro” con amore.. lasciando da parte quella vocina giudicante che non può fare altro che ferirci ulteriormente in questa vita ❤️
Siamo tutti degli esseri speciali e un grazie meraviglioso va a questa professionista, Lara Pelagotti per la sua costante divulgazione e la volontà di aiutare davvero il prossimo.
Grazie di cuore ❤️
★ ★ ★ ★ ★
Consiglio a tutti questo libro. È adatto a chi cerca degli spunti di self-help ed anche a chi è curioso circa il modo in cui funzioniamo.
È una piacevole lettura, fa luce su vari aspetti che riguardano tutti noi, con un taglio molto chiaro, agile e gradevole. Si potrà trarre beneficio e relax praticando i vari esercizi proposti. Sono semplici ed efficaci (ad es. chi non vorrebbe allontanarsi da certi pensieri che talvolta sembrano impossibili da scacciare? Si può imparare a farlo, grazie ad un post-it immaginario!)
Ps alle persone incuriosite dal tema psicologia, consiglio anche di seguire la divulgazione su Instagram dell’autrice del libro. È un’occasione preziosa per imparare tante cose nuove in modo gradevole e leggero.
★ ★ ★ ★ ★
Ho comprato il libro appena è stato pubblicato perché seguo Lara da molto tempo e attendevo con trepidazione questo oggettino utile, chiaro e ricco di spunti. Ma ho aspettato di leggerlo e rileggerlo prima di scriverne.
Mi è piaciuta la parte narrativa dell’esperienza personale di Lara, coinvolgente da un punto di vista emotivo e analitico. Mi sono piaciute le spiegazioni di come funzioniamo, con test in grado di aiutare la riflessione su noi stessi.
Mi sono piaciuti gli esercizi. A volte difficili a volte meno, ma comunque pronti per noi, al momento giusto.
È decisamente utile leggerlo e rileggerlo, Soffermarci più volte nelle parti che costituiscono il nodo interiore più ostico che dobbiamo affrontare.
Sicuramente da avere nel nostro zaino quotidiano.
★ ★ ★ ★ ★
Lara Pelagotti è una psicologa psicoterapeuta. Ha lavorato in comunità, strutture RSA (residenze sanitarie assistite) e contesti istituzionali OPG (ospedale psichiatrico giudiziario). Specializzata in psicologia dell’emergenza e psico-traumatologia, attraverso formazioni per il trattamento del trauma (EMDR, Sensorimotorio, ACT for Trauma).
Nasce come psicoterapeuta umanista e successivamente si forma in tecniche cognitive di terza generazione di approccio ACT e Self Compassion. Attualmente lavora nella clinica unendo le sue diverse formazioni e come formatore per enti privati e pubblici. Fa parte di Psicologi per I Popoli Toscana, ente che si occupa di offrire supporto in caso di eventi emergenziali.
C’era una volta una bambina timida, a cui sudavano le mani e che arrossiva se
si trovava in contesti pubblici.
Ricordo tutte le situazioni scolastiche in cui, nonostante l’impegno che mettevo, mi chiedevo che cosa avrebbero
pensato di me: si sarebbero accorte del sudore alle mani? O del fatto che diventavo subito
rossa in volto e mi
avrebbero preso in giro?
Ricordo le volte che asciugavo le mani ai pantaloni o ai vestiti perché non si vedesse la scia bagnata sul
quaderno e puntualmente o mi sporcavo o sudavano più di prima.
La timidezza era sempre pronta a manifestarsi e con lei la conseguente ansia: come quella volta che, alle scuole medie, un ragazzo della classe sottostante alla mia, durante la ricreazione, mi chiamò sul terrazzino della scuola per chiedermi se volessi “mettermi insieme a lui” con un cartello (essendo nata nel 1980 quando frequentavo le scuole medie i cellulari non c’erano ancora…).
Cos’è l’ansia?
L’ansia è un’emozione legata a filo stretto con la paura, ma non è esattamente paura. Quando proviamo ansia, proviamo una simil paura. Questa paura può avere però delle forme diverse.
Se siamo focalizzati sul futuro e su quello che potrebbe accaderci di male questa paura diventa “ansia”, quando invece questa paura è più focalizzata sul passato e su qualcosa che ci è accaduto di spaventoso o che avrebbe potuto accaderci si chiama “fobia”.
L’ansia ci mostra quanta capacità di costruzione fantastica abbiamo come essere umani, perché è un’emozione tutta corpo che possiamo sentire assolutamente in modo vivido. Difatti, l’ansia ha una serie di componenti fisiologiche che la caratterizzano: mani calde e sudate o mani fredde, bocca secca, tremore, mal di testa, senso di svenimento, tensione muscolare, tachicardia, iperventilazione, rigidità del corpo.
Ci sono poi delle componenti chiamate cognitive, ovvero legate ai nostri pensieri: preoccupazione, iper-vigilanza, pensieri di pericolo, focalizzazione dell’attenzione in negativo o aspettativa di un certo pericolo. Alcuni pensieri tipici di quando subiamo l’ansia possono essere: “Potrei fare una brutta figura”, “Potrei sentirmi male”, “Questa volta non mi andrà bene”, “Devo stare attento a non far vedere che sono agitato”, “Avrò un attacco di ansia”, “Sento che il mio cuore batte più forte”, “Sento che il respiro è accelerato”, “Non mi sento bene, mi sento strano”, “Sento che succederà qualcosa di brutto”, “Nessuno mi potrà aiutare” etc.
L’ accettazione non è rassegnazione, non è un passivo abbandono alla realtà che mi si presenta
davanti: l’ accettazione è quanto di più attivo abbiamo a disposizione.
Si tratta di accogliere i pensieri, le emozioni, le sensazioni, ma anche quelli che possono essere i ricordi e i vissuti, spiacevoli e piacevoli, senza criticarli o giudicarli. Lo scopo di quest’accoglienza sta nel fatto che solo così possiamo aprirci alla persona che vogliamo essere (nell’ultimo capitolo parleremo proprio di questo tema).
Spesso molte persone si perdono e non sanno che direzione prendere perché incominciano a combattere contro i pensieri, gli stati d’animo (ricordi quando parlavamo di controllo?) e questo non accettarli li porta in modo inevitabile verso la confusione e li allontana dal “chi sono”.
L’ accettazione quindi diventa fondamentale, sebbene sia uno dei processi più difficili da elaborare nella mente di una persona.
Che cosa c’è di più difficile che starsene seduti con emozioni come rabbia, paura, colpa?
Che cosa c’è di più difficile che fare spazio e smettere di lottare con il pensiero di essere una brutta persona o “non abbastanza”? Che cosa è più complesso che nuotare dentro al pensiero “che non sarò mai amato”? Che cosa c’è di più complicato che accettare che avremmo sempre modi di leggere le cose del mondo in modi diversi dai nostri figli o dai nostri genitori?
Niente, non c’è niente di più difficile che accogliere tutto questo, non formulare affermazioni di “giusto o sbagliato”, “vero o falso”, ma semplicemente accoglierlo. Nella terapia ACT (Acceptance and Commitment Therapy) si usa la metafora del “gancio” per descrivere come certi pensieri e sensazioni ci agganciano, appunto, e non ci lasciano più andare via, trasportandoci nel loro mondo, a meno che non si scelga di staccare gentilmente il gancio e proseguire con la propria vita.
Quello che mi accadde fu un episodio di fusione dei pensieri: cioè il credere che tutto quello che pensiamo sia
una verità inconfutabile e quindi creare una trama di pensieri che si legano gli uni agli altri per avvalorare
la tesi della fusione.
Questa trama di pensieri si chiama proprio ruminazione o rimuginio. La parola ruminazione deriva dal latino “rumen”, ovvero lo stomaco di animale, ed esattamente come gli animali più e più volte masticano lo stesso cibo così noi mastichiamo gli stessi pensieri, solo che nel nostro caso non arriviamo a nessuna digestione degli stessi! Infatti, pensare di più a una cosa non vuol dire trovare una soluzione a quel problema. Inoltre, i pensieri non vengono mai da soli, ma sempre abbracciati a delle emozioni, le emozioni, specialmente se spiacevoli, possono amplificare i pensieri e quindi spaventarci per quel che pensiamo!
A questo stadio succede il peggio: quando siamo spaventati da quel che pensiamo, tendiamo a starci ancora più sopra per trovare una soluzione al problema e finiamo per incastrarci. Per questo, per trovare le soluzioni ai problemi, spesso dobbiamo agire e farlo nella direzione per noi importante, e non rimanere nella testa.
Possiamo quindi dire che i nostri pensieri, non sono mai un nostro problema, a meno che non gli attribuiamo il significato di qualcosa di “pericoloso” e cominciamo a ruminare ancora di più.
La presa di coscienza inizia con una parola magica “IO”, quell’io contiene il
primo germe dell’individualità.
“Io”, “me”, appellarsi con il nome proprio diventa un tratto distintivo che
segna che è nata un’identità, unica
nel suo genere.
Ai miei pazienti dico spesso che nasciamo almeno due volte nella vita: la prima quando effettivamente veniamo al mondo e la seconda quando scopriamo che siamo venuti al mondo e che siamo esseri separati da chi è intorno a noi.
Il riconoscimento di sé è una questione così importante che quando in terapia vengono proposti degli esercizi in cui si chiede alla persona di chiamarsi con il proprio nome in modo accogliente, si ha subito una sensazione di “stranezza”, di “insolito”, perché quando mi chiamo sento quanto il mio nome sia potente nel disegnare l’identità. E anche se i nomi possono assomigliarsi, il nostro nome, ritagliato sulla nostra persona, con il suo distintivo tono di voce, è unico. Si può giocare chiamandosi in tono neutrale o accogliente e vederne le differenze e questo apre la porta a sensazioni diverse, dallo stupore alla rabbia, dalla felicità alla tristezza. Possiamo sentire quanto sia difficile accogliersi e usare il proprio nome, quanto sia difficile mettere a tacere la voce critica interna e quindi possiamo riscoprire parti identitarie diverse.
Se vuoi provare a vedere qual è il potere dell’attivare un dialogo con sé stessi, ti propongo di fare l’esercizio che ho preparato per te: “chiamarsi ed accogliersi”.
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